L’ottantottesima parola buona è SORRISO.
Uno degli esecutori materiali dell’omicidio del sacerdote palermitano Padre Pino Puglisi racconta di averlo affrontato, la sera del 15 settembre del 1993, dicendogli ‘Questa è una rapina’, e che il prete si sia girato sorridendo dolcemente e con serenità, dicendo: ‘L’avevo capito’.
Mentre l’altro killer dietro di lui esplodeva l’unico colpo mortale, Don Pino, che non aveva mai voluto sottostare alle regole della criminalità, sorrise.
Ora, noi sappiamo che quel sorriso era pieno di significato. Come dice bene l’amico Giovani Battista Tona, oggi magistrato e all’epoca uno dei universitari cattolici che hanno avuto don Pino come padre spirituale, il sacerdote voleva anche dire: “tu credi che non sappia distinguere i gesti di piccola delinquenza da un agguato mafioso?”.
Sappiamo che quel sorriso, indimenticabile per i suoi uccisori quanto sconcertante per i medici che eseguirono l’autopsia, fu la celebrazione della vita. La vita di un uomo per niente famoso, con una vecchia Fiatuno, con una capacità infinta di perdersi per gli altri, con la ferrea convinzione di non aver alcun debito da saldare nei confronti dei prepotenti, dei violenti e dei disonesti. Una vita capace di rallentare un momento, di fare «una pausa» e mettersi «in ascolto» degli altri. Anche di chi non ci piace, anche di chi ci aggredisce.
Negli istanti in cui Padre Pino Puglisi, don 3P come lo chiamavano gli amici, veniva trafitto per mandato delle cosche, in realtà era lui a passare da a parte i suoi uccisori con l’interrogativo se stessero facendo una vita felice.
Per questo, come ho scritto diverso tempo fa, quello è stato il sorriso di un “martire di resilienza”.
La nuova parola buona è SORRISO.
Affrontare a viso aperto le persone aiuta gli altri a ritrovare se stessi.
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