L’ottantanovesima parola buona è RARITÀ.
In base a quale principio consideriamo un qualcosa “raro”? Una cosa infrequente è rara, non c’è dubbio. Ciò che è difficile da rintracciare o che non si trova più, è raro. Lo è anche ciò che non vediamo spesso. Per esempio, certe malattie sono rare proprio a causa della loro infrequenza, per cui risultano più difficili da diagnosticare e da curare.
In un mondo saturo di statistiche e di algoritmi, è facile verificare se una certa condizione si presenta nei conteggi un po’ di più o un po’ di meno di quanto, a occhio, ci saremmo aspettati; così facendo, però, rischiamo di non cogliere la bellezza della “rarità”, di perderne, cioè, il significato più ampio.
Pensando solo al dato infrequente ci muoviamo come le vedette di guardia in passato, sulle mura dei castelli: scrutavano un bagliore o tendevano l’orecchio ad un’eco lontano. Stavano sulla difensiva, senza mai tentare di andare oltre l’idea preconcetta che ciò che è vicino e frequente, è rassicurante e, per contro, è pericoloso ciò che ricorre di rado o si scorge malamente.
La vita vera è un incessante susseguirsi di momenti rari ed unici. In ciò che stiamo vivendo si manifesta – fuori da ogni calcolo e misura – quanto abbiamo di più prezioso: consapevolezza, libertà e amore.
La nuova parola buona è RARITÀ.
Quanto abbiamo di più prezioso nella vita si manifesta oltre i limiti, fuori da ogni calcolo e misura.
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