La ventiduesima parola buona è FRAGILITÀ.
Al termine di una conferenza a Bergamo sulla cura dell’umano al tempo del Covid-19, mi é stato domandato se fosse possibile considerare Fragilità una parola buona. Avevo colto nella richiesta i riflessi del disorientamento provato la scorsa primavera nelle regioni sconvolte dal Coronavirus.
Lo stesso smarrimento che oggi pervade il Paese, attanagliato dalla scoperta delle rinunce che incideranno sulle settimane future.
Quando si subisce l’imposizione di un limite, si può rispondere con freddezza e distacco.
Ritrovarsi vulnerabili e impotenti può essere seccante e sono molto frequenti gli atteggiamenti egoistici.
Allora perché considerare Fragilità una parola buona?
Perché chi ha coscienza dei suoi limiti, alla lunga è più efficace di chi si illude di essere invulnerabile. Gli arroganti e i prepotenti inizialmente riscuotono successo negando le proprie difficoltà e aggredendo chi fatica a vivere, ma presto si ritrovano in un deserto relazionale.
Chi, invece, riconosce la sua sensibilità, sa gestire le relazioni usando la delicatezza che é necessaria per maneggiare un contenitore su cui sia indicato «fragile».
Come ha scritto bene Eugenio Borgna, la comprensione degli stati d‘animo e delle fragilità è intuizione dell’indicibile e dell’invisibile.
La ventiduesima parola buona é FRAGILITÀ.
Il tempo della pandemia ha mostrato le fragilità del mondo intero. Chi riconosce la sua vulnerabilità, supera più facilmente la crisi di chi non sopporta di avere alcun limite.
Video in Lingua dei Segni Italiana (LIS)
[Video traduzione in Lingua dei Segni Italiana (LIS) a cura di Mita Graziano, dottoressa in Psicologia clinica e Interprete LIS]
[Sottotitoli a cura di Vera Arma, CulturAbile Onlus]
[Montaggio a cura di Marcantonio Lunardi]
[Un grazie particolare alla Fondazione Pio Istituto dei Sordi di Milano per l’importante sostegno al progetto #ParoleBuone]
Testo in simboli CAA
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