La ventitreesima parola buona è FIDUCIA.
Durante lo stato emergenziale, ascoltiamo i pareri più disparati.
La narrazione delle vicende collettive mette in ombra i racconti personali e fatichiamo a riconoscere quali siano le parole a cui dare credito.
Le persone reagiscono alla tensione in modi diversi: chi cerca di mantenersi fiducioso, chi prova ansia e indugia, chi è imprudente e non segue le raccomandazioni dei medici. I numeri presentati dai media non servono né a far ragionare i più timorosi né a convincere i più riottosi.
Me ne sono reso ben conto una sera a Milano quando accidentalmente mi sono trovato dalle parti di piazzale Loreto in mezzo agli incendi appiccati dai contestatori del coprifuoco serale. Era una scena che toglieva il fiato. La fiducia non la si ripristina registrando tutte le sere centinaia di contagiati e di deceduti. Al panico infondato si risponde con nuove modalità di rapporto rispetto a quelle del passato.
Usciamo dal clima di paura favorendo la cooperazione e sbaglia chi evoca complotti e progetti precisi di una parte dell’umanità contro un’altra. Sbaglia pure chi sostiene che la pandemia derivi dall’azione di menti criminali. Se si alimenta la sensazione di isolamento, dapprima si crea il dubbio, poi il sospetto, infine la sfiducia.
La via per recuperare serenità la indica in queste ore chi si trova in un reparto di ospedale o a casa in isolamento: si sperimenta la fiducia nel sostegno reciproco, nel riconoscersi comunemente fragili, nell’unirsi.
Chi ha incontrato nel suo corpo la grave sofferenza che il Coronavirus può indurre, non pensa minimamente che si tratti di un’invenzione. La ventitreesima parola buona è fiducia. Le parole usate con senso di responsabilità rafforzano la fiducia in se stessi e la capacità di ascolto e di accoglienza degli altri.
Testo in simboli CAA
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