La novantaduesima parola buona è COCCOLA.
All’inizio del film C’è ancora domani (P. Cortellesi, 2023), il marito si sveglia e tira uno schiaffo alla moglie. La violenza suona come lo sbattere di una porta che serra l’accesso al mondo dei sogni e alla tenerezza.
Ivano è un uomo del secondo dopoguerra che ripete con astiosa baldanza i gesti della sua esclusiva realizzazione e la finzione cinematografica parla anche alle donne, agli uomini, persino ai bambini dei nostri tempi.
Ieri come oggi, non si riconosce dignità ai tempi delle coccole, ai giochi semplici e calorosi, al tenersi compagnia senza altri fini. Le carezze, i gesti di tenerezza e di affettuosità, sono svalutati.
Gli affetti, l’adorazione, l’amorevolezza, la benevolenza sono declassati a smancerie prive di utilità. Ci si intenerisce per un video dei gattini sui social, ma cresce l’analfabetismo sul valore effettivo degli scambi relazionali.
I sentimenti, questa è l’idea che passa, sono le magre consolazioni di cui s’accontenta chi non è riuscito a imporre se stesso agli altri.
Con il termine ”coccola”, la nostra lingua indica qualcosa a forma di granulo, come le bacche di ginepro, che abbia al suo interno un’alta concentrazione di cocculina, una sostanza rilassante.
Coccola, una parola controcorrente, ancora valida per una società malata di competizione, utile per evitare di alimentare ansie e nevrosi, lasciando aperta la porta ai sogni e ai desideri.
La nuova parola buona è Coccola.
Momenti realmente affettuosi prevengono il senso di vuoto che sfocia in violenza.
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