L’ottantacinquesima parola buona è CIVILTÀ.
Secondo l’ISTAT, circa 1 milione e 600 mila italiani vivono in comuni dove manca qualsiasi forma di offerta culturale. Il fenomeno si concentra nelle aree interne, nelle zone rurali o in declino demografico. Siamo ancora un Paese a diverse velocità.
Per il medico, scrittore e pittore Carlo Levi, Cristo si era fermato a Eboli quando la strada e il treno abbandonavano la costa di Salerno e il mare, e si addentravano nel territorio lucano dove lui era stato confinato nel 1935 dal regime fascista. L’espressione l’aveva raccolta dalle labbra di uomini che non si percepivano cristiani come tutti gli altri, perché si sentivano trattati come bestie.
Levi denunciava che nessuna parola umana o divina aveva nutrito una terra arida, refrattaria, preistorica. Là dove non era penetrata alcuna civiltà e cultura, neppure Cristo si era degnato di scendere: un inferno di “dolore terrestre che sta per sempre nelle cose”.
Mi domando: nelle nostre periferie esistenziali che cosa accade? Quante donne, quanti uomini e quanti bambini restano privi di un saluto, di una parola rispettosa e di un gesto inclusivo?
La nuova parola buona è CIVILTÀ.
Guardare il volto reale delle persone, genera valore culturale per tutti.
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