L’ottantaduesima parola buona è CIAO.
Un carissimo amico e collega vive e lavora a Londra. L’ho incontrato mentre era di passaggio a Milano e, di fronte a un risotto allo zafferano, mi ha chiesto a bruciapelo: “Se questo è un progetto inclusivo, perché non ricordare tra le parole buone anche i termini della nostra lingua che tutti gli stranieri conoscono”.
In effetti, alcune parole della lingua italiana sono utilizzate anche da chi, di solito, assapora altre musicalità. Ho scelto « Ciao ».
Ciao è voce dell’incontro, del viaggio, delle partenze e degli arrivi.
Ciao è la manina di un bimbo che si apre e si chiude, sono le braccia sventolate che portano lontano un saluto.
Ciao è un codice, un passe-partout che apre la porta degli affetti, facendo superare le barriere razionali.
Ciao è un contagio molto democratico, perché funziona sia come invito sia come risposta.
Ciao è un rumore del cuore perché lo usa a denti stretti lascia intendere « Stop! » e non « Vieni! ».
Eccola la parola buona internazionale, con quattro lettere sature di vocali. Senza neppure accorgercene, il tricolore colora il mondo ogni volta che ripetiamo « Ciao ». Perché « Ciao » è una bandiera amichevole, riconoscibile e confidente.
La nuova parola buona è Ciao.
Le espressioni più semplici animano il lessico fondamentale della nostra umanità.
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