La settantunesima parola buona è ADOZIONE.
I sociologi dicono che il nostro vivere contemporaneo è “liquido” e che l’ubriacatura capitalistica oramai non ci permette più di distinguere se stiamo acquistando perché è Halloween, Black Friday, Natale o San Valentino.
Eppure, s’accende sempre una luce in mezzo a tanti esempi di scarsa attenzione delle persone per sé stesse, per i rapporti, per l’ambiente.
Come la storia che ho ascoltato di un bimbo sui due anni e mezzo, abbandonato dalla famiglia naturale perché non c’erano i mezzi materiali e morali per prendersene cura. In un primo momento, era stato affidato ad una famiglia che, accortasi della forte sordità del piccolo, aveva preferito interrompere il nascente legame con lui.
Malgrado i due abbandoni, una terza famiglia si è presentata per accoglierlo. Una famiglia ben cosciente che gli inizi non facili non vanno cancellati con un colpo di spugna: vanno invece studiati, capiti e compresi.
La terza famiglia ha avviato nuove indagini che hanno permesso di scoprire come il bimbo soffrisse di una rara malattia che aveva determinato l’impedimento a sentire. Con le dovute cure, il bimbo ha riconquistato l’udito. Poi, è stato sollecitato con un’intensa stimolazione per recuperare gli anni passati a non sentire e a questo compito si sono dedicati volentieri anche i nuovi fratelli che la vita gli ha regalato.
Il risultato di un’adozione consapevole e rispettosa è stato duplice: il bimbo è tornato a sentire e, allo stesso tempo, è stato finalmente ascoltato e visto per i suoi specifici bisogni.
La nuova parola buona è ADOZIONE.
Si diventa compartecipi gli uni della vita degli altri quando inizia a brillare la luce di un legame che prima non era scontato.
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