La settantacinquesima parola buona è TENEREZZA.
Alcune studentesse mi hanno domandato di incontrarle presso il Conservatorio universitario SS Concezione di Roma. Erano rimaste turbate da questo fatto di cronaca: a fine gennaio, una diciannovenne si è tolta la vita in un ateneo milanese, pare lasciando nella sua borsa uno scritto in cui riferiva di fallimenti personali e di studio. Gli studenti di quella Università erano rimasti sconcertati per la decisione di non fermare completamente l’attività didattica, senza lasciare il tempo alla comunità di riflettere sulle angosce che possono portare a compiere gesti simili.
Non ho idea se l’urlo silenzioso della giovane suicida abbia trovato o troverà mai un ascolto adeguato. Io, però, voglio lasciarmi interrogare dall’appello di molti altri giovani che ci dicono di essere letteralmente soffocati dalla moda dell’efficienza e dal mito della persona di successo.
Sul famoso palco del Festival dei fiori, a febbraio di quest’anno, è stata inscenata una competizione tra i conduttori su chi fosse in grado di apparire più appetibile sui social da parte di un vasto pubblico di seguaci. Domandiamoci se questi messaggi non risultino quantomeno stonati rispetto al drammatico richiamo dei più giovani a tornare a riconoscere il valore di una vicinanza relazionale senza troppe maschere. Giovani che si trovano quasi più in accordo con la buona musica di sempre, quella dedicata alla passione per le singole storie raccontare sullo sfondo dei sentimenti e delle ragioni che guidano interi gruppi e comunità.
Abbiamo tutti bisogno di prenderci delle pause, di fare silenzio, di riflettere sulle incoerenze. Senza i giusti spazi, si accentuano i toni duri e violenti che concorrono ad alimentare il dolore di chi sente sfuggirsi la vita dalle mani.
La nuova parola buona é Tenerezza.
Siamo abili a vivere pienamente quando, benché vulnerabili, ci sentiamo degni di aggiungere nuove possibilità.
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